Il contributo punta a ripercorrere alcuni fatti urbani contemporanei di una straordinaria città normanno-sveva, cioè di Melfi, che poco più di 25 anni fa puntò di crescere con la grande industria obiettivo da cui oggi prova a superare viste le “fragilità” emerse con le crisi. A fronte dell’impennata economico-occupazionale che si registra nei primi anni ‘90 per l’insediamento della FIAT a Melfi non sono mancati cambiamenti dei modi di abitare e sociali; fenomeni, tutti e non nuovi, strettamente correlati a vari piani di sviluppo (dal primo PRG di Beguinot, fino al PEEP di Benevolo). Alcuni di questi piani, che hanno dato corso a grandi zone industriali, residenziali, commerciali e relative infrastrutture, difatti hanno disteso l’originale forma di Melfi, “intorno alle mura”, su aree extraurbane, consumando suolo agricolo e alimentando un certo abbandono del centro storico. Tutto accade a cavallo del nuovo millennio, dove ad una crescita del 40% delle aree urbanizzate è corrisposto solo un modesto incremento demografico pari a circa il 10%: Melfi non è riuscita ad attrarre i numerosi lavoratori pendolari a cui guardava, nonostante le politiche d’incentivazione. Così le attese della comunità locale legate a quell’enorme investimento industriale oggi fa i conti con un ridimensionamento demografico-occupazionale e soprattutto con un quadro di relativo sviluppo sociale, economico e culturale. Un’ambizione industriale che ha sovrastato l’interesse ad investire in attività invece legate alle molte risorse culturali presenti su questo territorio del Mezzogiorno. Oggi però sembra un fatto acquisito che la strada di rigenerazione qui vada ricercata nell’economia culturale e che una città-patrimonio come Melfi, con una storia di assoluto rilievo, torni piuttosto ad essere un centro di produzione culturale.
Melfi, fabbriche fragili e fabbriche di cultura.
Ettore Vadini
2019-01-01
Abstract
Il contributo punta a ripercorrere alcuni fatti urbani contemporanei di una straordinaria città normanno-sveva, cioè di Melfi, che poco più di 25 anni fa puntò di crescere con la grande industria obiettivo da cui oggi prova a superare viste le “fragilità” emerse con le crisi. A fronte dell’impennata economico-occupazionale che si registra nei primi anni ‘90 per l’insediamento della FIAT a Melfi non sono mancati cambiamenti dei modi di abitare e sociali; fenomeni, tutti e non nuovi, strettamente correlati a vari piani di sviluppo (dal primo PRG di Beguinot, fino al PEEP di Benevolo). Alcuni di questi piani, che hanno dato corso a grandi zone industriali, residenziali, commerciali e relative infrastrutture, difatti hanno disteso l’originale forma di Melfi, “intorno alle mura”, su aree extraurbane, consumando suolo agricolo e alimentando un certo abbandono del centro storico. Tutto accade a cavallo del nuovo millennio, dove ad una crescita del 40% delle aree urbanizzate è corrisposto solo un modesto incremento demografico pari a circa il 10%: Melfi non è riuscita ad attrarre i numerosi lavoratori pendolari a cui guardava, nonostante le politiche d’incentivazione. Così le attese della comunità locale legate a quell’enorme investimento industriale oggi fa i conti con un ridimensionamento demografico-occupazionale e soprattutto con un quadro di relativo sviluppo sociale, economico e culturale. Un’ambizione industriale che ha sovrastato l’interesse ad investire in attività invece legate alle molte risorse culturali presenti su questo territorio del Mezzogiorno. Oggi però sembra un fatto acquisito che la strada di rigenerazione qui vada ricercata nell’economia culturale e che una città-patrimonio come Melfi, con una storia di assoluto rilievo, torni piuttosto ad essere un centro di produzione culturale.File | Dimensione | Formato | |
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