A partire dalla mia esperienza etnografica in Medio Oriente, propongo una riflessione metodologica sul concetto di scoperta serendipitosa, elaborato da Ugo Fabietti e caratterizzato dal binomio casualità/sagacia. La dimensione della serendipità, o abduzione, ha contraddistinto alcuni punti focali della mia ricerca sul patrimonio culturale in Siria, dalla scelta dei contesti e argomenti di ricerca agli sviluppi dell’indagine etnografica. Propongo un ampliamento della definizione di scoperta serendipitosa, che consenta di cogliere la potenzialità, propria di una simile scoperta, di consolidare un certo punto di vista, attraverso il riferimento agli “amici teorici” dell’etnografo. Questa riflessione è inserita in una discussione sulle relazioni che, come antropologo, ho intessuto con alcuni dei miei interlocutori, dalla quale emerge la necessità di una preparazione metodologica al procedimento abduttivo, ovvero una predisposizione a vivere l’esperienza del campo senza preoccuparsi di perdere tempo a fare cose apparentemente inutili, come affinare le sfumature della lingua, approfondire le competenze non verbali e curare le relazioni con le persone. Questo consente di cogliere gli aspetti dell’esperienza etnografica che, emergendo come elementi secondari, diventano snodi centrali nella ricerca.
Etnografia, scoperte ‘serendipitose’, amicizie teoriche e reali
Copertino
2019-01-01
Abstract
A partire dalla mia esperienza etnografica in Medio Oriente, propongo una riflessione metodologica sul concetto di scoperta serendipitosa, elaborato da Ugo Fabietti e caratterizzato dal binomio casualità/sagacia. La dimensione della serendipità, o abduzione, ha contraddistinto alcuni punti focali della mia ricerca sul patrimonio culturale in Siria, dalla scelta dei contesti e argomenti di ricerca agli sviluppi dell’indagine etnografica. Propongo un ampliamento della definizione di scoperta serendipitosa, che consenta di cogliere la potenzialità, propria di una simile scoperta, di consolidare un certo punto di vista, attraverso il riferimento agli “amici teorici” dell’etnografo. Questa riflessione è inserita in una discussione sulle relazioni che, come antropologo, ho intessuto con alcuni dei miei interlocutori, dalla quale emerge la necessità di una preparazione metodologica al procedimento abduttivo, ovvero una predisposizione a vivere l’esperienza del campo senza preoccuparsi di perdere tempo a fare cose apparentemente inutili, come affinare le sfumature della lingua, approfondire le competenze non verbali e curare le relazioni con le persone. Questo consente di cogliere gli aspetti dell’esperienza etnografica che, emergendo come elementi secondari, diventano snodi centrali nella ricerca.File | Dimensione | Formato | |
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