Regista controverso da sempre, Marco Bellocchio ha, sin dal suo esordio, coraggiosamente visitato generi diversi, spesso utilizzando pratiche discorsive anche contrastanti nello stesso lavoro, per andare a costruire una filmografia complessa, che si fa percorso autoriale ma anche mappa articolata di una sofferta vita ‘in fieri’. La marca autobiografica è infatti la cifra, a volte solo latente, ma sempre qualificante del cinema di questo regista nato a Piacenza il 9 novembre del 1939, e cioè nel periodo più controverso del regime e in quella provincia italiana segnata da lotte contadine prima e Resistenza poi, ma anche dal grigiore e dal torpore di una nuova borghesia dai tratti problematici e fragili che ben trovano il proprio rispecchiamento tragico nel suo lungometraggio di esordio, e cioè I pugni in tasca (1965), lavoro preceduto soltanto da tre corti, Abbasso il zio e La colpa e la pena del 1961, nonché Ginepro fatto uomo del 1962. Nel cinema di Marco Bellocchio l’autobiografia si coniuga sempre, però, con la storia di una generazione e con quella di un intero paese, con i loro tormenti e le loro lotte, pubbliche e private, e questo specialmente nei lavori degli anni settanta, per riproporsi poi in chiave riflessiva, e fors’anche autoriflessiva in un film che a quei lavori si ricollega e con essi dialoga criticamente, e cioè Buongiorno, notte del 2003, il racconto umbratile e sofferto del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse nel cuore del decennio in questione.
Marco Bellocchio
GIERI, Manuela
2009-01-01
Abstract
Regista controverso da sempre, Marco Bellocchio ha, sin dal suo esordio, coraggiosamente visitato generi diversi, spesso utilizzando pratiche discorsive anche contrastanti nello stesso lavoro, per andare a costruire una filmografia complessa, che si fa percorso autoriale ma anche mappa articolata di una sofferta vita ‘in fieri’. La marca autobiografica è infatti la cifra, a volte solo latente, ma sempre qualificante del cinema di questo regista nato a Piacenza il 9 novembre del 1939, e cioè nel periodo più controverso del regime e in quella provincia italiana segnata da lotte contadine prima e Resistenza poi, ma anche dal grigiore e dal torpore di una nuova borghesia dai tratti problematici e fragili che ben trovano il proprio rispecchiamento tragico nel suo lungometraggio di esordio, e cioè I pugni in tasca (1965), lavoro preceduto soltanto da tre corti, Abbasso il zio e La colpa e la pena del 1961, nonché Ginepro fatto uomo del 1962. Nel cinema di Marco Bellocchio l’autobiografia si coniuga sempre, però, con la storia di una generazione e con quella di un intero paese, con i loro tormenti e le loro lotte, pubbliche e private, e questo specialmente nei lavori degli anni settanta, per riproporsi poi in chiave riflessiva, e fors’anche autoriflessiva in un film che a quei lavori si ricollega e con essi dialoga criticamente, e cioè Buongiorno, notte del 2003, il racconto umbratile e sofferto del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse nel cuore del decennio in questione.File | Dimensione | Formato | |
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