Il cibo concorre a identificare il territorio, definendone la percezione sociale, i suoi caratteri morfo-pedologici e climatici e intrecciando il tangibile e l’intangibile con una distintività reciproca (Pollice et al., 2022); questa dialettica, ormai consolidata anche in campo urbanistico, mette in evidenza relazioni e spazialità prodotte dalla filiera del cibo, nelle sue varie fasi. I regimi di qualità contribuiscono a rafforzare il legame territorio-produzione alimentare, ma se da un lato la spinta verso una patrimonializzazione del cibo ha allargato le espressioni culturali e identitarie, dall’altro ha comportato uno scivolamento economico e artificioso. In un certo senso, la cultura gastronomica, patrimonio collettivo inalienabile, si è privatizzata, limitata ai detentori del marchio in nome della protezione di un’eredità culturale che nel concreto si traduce nell’ottenere vantaggi competitivi (Fino e Cecconi, 2021). Intanto la Commissione Europea propone una maggiore sostenibilità per il sistema dei regimi di qualità. Ma i disciplinari di qualità producono territori di qualità? La garanzia del prodotto è anche qualità in termini sociali? I marchi di qualità contribuiscono concretamente al raggiungimento degli obiettivi della strategia Farm to Fork, di un sistema alimentare sostenibile? La risposta non è univoca, ma l’ipotesi è che il successo economico abbia innescato forti contraddizioni che si sta tentando di esplorare attraverso una ricerca PRIN sull’Italia di Mezzo, assieme alla spazialità, alle ricadute ecologiche e sociali dei prodotti (DOP, IGP, STG, PAT) per evidenziare il ruolo delle politiche del cibo nella definizione di nuove ecologie territoriali.

Cibo d’eccellenza ed ecologie territoriali. I marchi territoriali tra difesa della tradizione e nuove patrimonializzazioni

Mariavaleria Mininni
2024-01-01

Abstract

Il cibo concorre a identificare il territorio, definendone la percezione sociale, i suoi caratteri morfo-pedologici e climatici e intrecciando il tangibile e l’intangibile con una distintività reciproca (Pollice et al., 2022); questa dialettica, ormai consolidata anche in campo urbanistico, mette in evidenza relazioni e spazialità prodotte dalla filiera del cibo, nelle sue varie fasi. I regimi di qualità contribuiscono a rafforzare il legame territorio-produzione alimentare, ma se da un lato la spinta verso una patrimonializzazione del cibo ha allargato le espressioni culturali e identitarie, dall’altro ha comportato uno scivolamento economico e artificioso. In un certo senso, la cultura gastronomica, patrimonio collettivo inalienabile, si è privatizzata, limitata ai detentori del marchio in nome della protezione di un’eredità culturale che nel concreto si traduce nell’ottenere vantaggi competitivi (Fino e Cecconi, 2021). Intanto la Commissione Europea propone una maggiore sostenibilità per il sistema dei regimi di qualità. Ma i disciplinari di qualità producono territori di qualità? La garanzia del prodotto è anche qualità in termini sociali? I marchi di qualità contribuiscono concretamente al raggiungimento degli obiettivi della strategia Farm to Fork, di un sistema alimentare sostenibile? La risposta non è univoca, ma l’ipotesi è che il successo economico abbia innescato forti contraddizioni che si sta tentando di esplorare attraverso una ricerca PRIN sull’Italia di Mezzo, assieme alla spazialità, alle ricadute ecologiche e sociali dei prodotti (DOP, IGP, STG, PAT) per evidenziare il ruolo delle politiche del cibo nella definizione di nuove ecologie territoriali.
2024
978-93-90150-29-8
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