Le celebrazioni religiose, in uno straordinario intreccio che le vide spesso combinate alle cerimonie laiche, rappresentarono tappe importanti nella costruzione di un calendario civile, spesso informale, che sostenne potentemente l’ancoraggio delle memorie di guerra alla quotidianità degli italiani fin dagli ultimi mesi del 1918. Già negli anni del conflitto, il mondo cattolico, attraversato da un acceso dibattito interno, dovette misurarsi con le categorie del pacifismo, dell’interventismo, del neutralismo, del nazionalismo, nel tentativo di riottenere, in Italia, quell’agibilità politica che la “questione romana” e il non expedit avevano per troppo tempo condizionato. In tal senso, la Grande guerra rappresentò quel varco attraverso il quale i cattolici provarono a riconquistare la scena politica, occupando spazi, nel dibattito italiano, che oscillavano in maniera divaricata tra il pacifismo pontificio e le frequenti pulsioni nazionalistiche di clero ed episcopato. In questa cornice, pertanto, si inscrissero le numerose celebrazioni religiose che, a cominciare dalle ultime settimane precedenti la fine del conflitto, attivarono il culto memoriale della vittoria, le commemorazioni dei caduti, la realizzazione di monumenti e costruzioni votive. Come in una sorta di nuovo atto fondativo, esse ridefinirono il senso di un’italianità che chiudeva la fase risorgimentale sull’onda di un’illusione che candidava il Paese, uscito vincitore dal conflitto, a conquistare un posto nella nuova geografia politica europea. Il patriottismo degli italiani, dunque, attraversato da una ritualità religiosa praticata entro uno spazio celebrativo condiviso con l’autorità civile, risultava rinverdito e politicamente orientato a superare la tradizione liberale ormai ritenuta inadatta ad affrontare i tempi nuovi. La crisi post-bellica, pertanto, con le sue emergenze quotidiane, unitamente alla necessità di serrare i ranghi intorno al progetto di un’Italia più forte, veniva affrontata anche attraverso memorie di guerra capaci di ricucire il tessuto sociale col filo ideologico del nazionalismo. A tutto ciò, le cerimonie religiose offrirono un palcoscenico straordinario sul quale mettere in scena il protagonismo di un’Italia vincitrice che, sul sacrificio di caduti, mutilati, invalidi, orfani, vedove, derelitti, rifondava una missione civile sacramentata dall’incenso degli altari. La stampa locale, in quest’ottica, unitamente alle fonti d’archivio, ha consentito di comprendere quanto le cerimonie religiose, intrecciate a quelle civili, fossero, nei centri più grandi come nelle periferie più interne, il segno di una comune strategia finalizzata alla costruzione di una memoria di guerra che compattasse, intorno al culto degli eroi, il nuovo corso della storia nazionale.
Cerimonie religiose: sacralità e patriottismo
donato verrastro
2023-01-01
Abstract
Le celebrazioni religiose, in uno straordinario intreccio che le vide spesso combinate alle cerimonie laiche, rappresentarono tappe importanti nella costruzione di un calendario civile, spesso informale, che sostenne potentemente l’ancoraggio delle memorie di guerra alla quotidianità degli italiani fin dagli ultimi mesi del 1918. Già negli anni del conflitto, il mondo cattolico, attraversato da un acceso dibattito interno, dovette misurarsi con le categorie del pacifismo, dell’interventismo, del neutralismo, del nazionalismo, nel tentativo di riottenere, in Italia, quell’agibilità politica che la “questione romana” e il non expedit avevano per troppo tempo condizionato. In tal senso, la Grande guerra rappresentò quel varco attraverso il quale i cattolici provarono a riconquistare la scena politica, occupando spazi, nel dibattito italiano, che oscillavano in maniera divaricata tra il pacifismo pontificio e le frequenti pulsioni nazionalistiche di clero ed episcopato. In questa cornice, pertanto, si inscrissero le numerose celebrazioni religiose che, a cominciare dalle ultime settimane precedenti la fine del conflitto, attivarono il culto memoriale della vittoria, le commemorazioni dei caduti, la realizzazione di monumenti e costruzioni votive. Come in una sorta di nuovo atto fondativo, esse ridefinirono il senso di un’italianità che chiudeva la fase risorgimentale sull’onda di un’illusione che candidava il Paese, uscito vincitore dal conflitto, a conquistare un posto nella nuova geografia politica europea. Il patriottismo degli italiani, dunque, attraversato da una ritualità religiosa praticata entro uno spazio celebrativo condiviso con l’autorità civile, risultava rinverdito e politicamente orientato a superare la tradizione liberale ormai ritenuta inadatta ad affrontare i tempi nuovi. La crisi post-bellica, pertanto, con le sue emergenze quotidiane, unitamente alla necessità di serrare i ranghi intorno al progetto di un’Italia più forte, veniva affrontata anche attraverso memorie di guerra capaci di ricucire il tessuto sociale col filo ideologico del nazionalismo. A tutto ciò, le cerimonie religiose offrirono un palcoscenico straordinario sul quale mettere in scena il protagonismo di un’Italia vincitrice che, sul sacrificio di caduti, mutilati, invalidi, orfani, vedove, derelitti, rifondava una missione civile sacramentata dall’incenso degli altari. La stampa locale, in quest’ottica, unitamente alle fonti d’archivio, ha consentito di comprendere quanto le cerimonie religiose, intrecciate a quelle civili, fossero, nei centri più grandi come nelle periferie più interne, il segno di una comune strategia finalizzata alla costruzione di una memoria di guerra che compattasse, intorno al culto degli eroi, il nuovo corso della storia nazionale.File | Dimensione | Formato | |
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