Alcuni docufilm italiani degli anni 2000 incentrati sul tema della fabbrica, del lavoro e dell’impatto ambientale, come "Indistruttibile" di Michele Citoni (2004), "Il caso Acna" di Fulvio Montano (2005) e "Non si deve morire per vivere" di Daniele Gaglianone (2005), o i più recenti "Polvere" di Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller (2011), "Bormida" di Alberto Momo (2018) e "La fabbrica del sogno" di Max Chicco (2020), rivolgono l’obiettivo sui disastri ecologici e i drammi umani causati da alcune aziende tristemente famose: l’Eternit di Casale Monferrato (Alessandria), l’ACNA di Cengio (Savona) e l’IPCA di Ciriè (Torino). Adottando la forma del documentario, questi film ritornano sui siti dismessi delle fabbriche muovendosi in tristi e lugubri scenari, luoghi della memoria di un passato irragionevole e distruttivo di industrializzazione selvaggia e spietata, che ha comportato altissimi costi umani e gravissimi danni ambientali. Ricorrendo alla tecnica della videointervista per raccogliere i ricordi dei sopravvissuti e offrire così allo spettatore una ricostruzione documentata e umanamente vissuta dei fatti, questi lavori mostrano come traumi umani ed ambientali possono venire rappresentati e testimoniati attraverso il mezzo filmico, che diviene efficace strumento di attivismo sociale e ambientalista. Il saggio svolge un'analisi dei casi di studio citati facendo ricorso alla prospettiva dei trauma studies e ai concetti di ecotrauma e di memoria storica, per riflettere su alcuni disastri ambientali che hanno interessato il nostro paese tra gli anni ’50 e gli anni ’90 del secolo scorso, a comporre una simbolica storia filmata dei colori delle fabbriche della morte, dal bianco della polvere di amianto dell’Eternit ai colori all’anilina dell’ACNA e dell’IPCA.
Cinema documentario dell'eco-trauma. Le fabbriche dei veleni e i colori della morte al lavoro
alberto baracco
2023-01-01
Abstract
Alcuni docufilm italiani degli anni 2000 incentrati sul tema della fabbrica, del lavoro e dell’impatto ambientale, come "Indistruttibile" di Michele Citoni (2004), "Il caso Acna" di Fulvio Montano (2005) e "Non si deve morire per vivere" di Daniele Gaglianone (2005), o i più recenti "Polvere" di Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller (2011), "Bormida" di Alberto Momo (2018) e "La fabbrica del sogno" di Max Chicco (2020), rivolgono l’obiettivo sui disastri ecologici e i drammi umani causati da alcune aziende tristemente famose: l’Eternit di Casale Monferrato (Alessandria), l’ACNA di Cengio (Savona) e l’IPCA di Ciriè (Torino). Adottando la forma del documentario, questi film ritornano sui siti dismessi delle fabbriche muovendosi in tristi e lugubri scenari, luoghi della memoria di un passato irragionevole e distruttivo di industrializzazione selvaggia e spietata, che ha comportato altissimi costi umani e gravissimi danni ambientali. Ricorrendo alla tecnica della videointervista per raccogliere i ricordi dei sopravvissuti e offrire così allo spettatore una ricostruzione documentata e umanamente vissuta dei fatti, questi lavori mostrano come traumi umani ed ambientali possono venire rappresentati e testimoniati attraverso il mezzo filmico, che diviene efficace strumento di attivismo sociale e ambientalista. Il saggio svolge un'analisi dei casi di studio citati facendo ricorso alla prospettiva dei trauma studies e ai concetti di ecotrauma e di memoria storica, per riflettere su alcuni disastri ambientali che hanno interessato il nostro paese tra gli anni ’50 e gli anni ’90 del secolo scorso, a comporre una simbolica storia filmata dei colori delle fabbriche della morte, dal bianco della polvere di amianto dell’Eternit ai colori all’anilina dell’ACNA e dell’IPCA.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.