XVIII Convegno Nazionale di Micologia - Potenza 20 - 22 ottobre 2010 (absract: 39) Studi preliminari su due tartufaie coltivate in Basilicata La potenzialità tartufigena di estesi territori della Basilicata ha spinto negli ultimi due decenni parecchi agricoltori lucani a realizzare tartufaie coltivate utilizzando piante micorrizate con specie/forme di tartufo più o meno pregiate quali Tuber melanosporum e T. aestivum. In questo contributo si riportano le osservazioni effettuate in due tartufaie coltivate della provincia di Potenza, ubicate in agro di Abriola (A) e di Avigliano (B) che, a 16-17 anni dall’impianto, forniscono risultati produttivi differenti. In entrambe le tartufaie sono stati rilevati i parametri seguenti: anno d’impianto, altitudine, esposizione ed inclinazione del versante, caratteristiche fisico-chimiche del suolo, specie di pianta simbionte e densità d’impianto. Sono stati prelevati e sottoposti ad analisi per la verifica della micorizzazione numerosi campioni di radichette. Rilievi floristico-vegetazionali, effettuati nelle aree boscate limitrofe a ciascuna delle due tartufaie, hanno evidenziato come vegetazione forestale potenziale, la presenza di boschi riferibili alla serie subacidofila del Lathyro digitati-Quercetum cerris, caratteristica dei querceti submontani dell’Appennino Lucano. L’impianto A, attualmente improduttivo, presenta le seguenti caratteristiche: superficie, 2000 m2 ; altitudine, 790 m s.l.m.; substrato geologico, litofacies a scisti marnoso-silicei del Flysch del Galestrino (Mesozoico); pH del suolo, 7,9; giacitura, in prevalenza pianeggiante (53,2 % delle piante) e, in parte inclinata (23,4 %) ed esposizione N. L’impianto è costituito da 192 alberi provenienti da un vivaio dell’Umbria, appartenenti alle specie Corylus avellana (48), C. colurna (47), Ostrya carpinifolia (47), Quercus pubescens (48) e Populus tremula (2) micorrizate con T. melanosporum e, relativamente al solo pioppo tremulo, con T. magnatum. Sono stati analizzati complessivamete oltre 1500 campioni di apici radicali prelevati dal 47,9 % delle piante tartufigene totali. Sono stati ottenuti i seguenti risultati: il 23% delle piante ha mantenuto la micorriza originaria mentre, nel 19,6 % di esse, sono stati osservati anche simbionti contaminanti appartenenti agli Ascomycetes (T. aestivum, 6,5 %, T. brumale, 1,1 %, T. foetidum, 1,1 %) ed ai Basidiomycetes. La specie arborea che ha mantenuto la maggior percentuale di alberi con la micorriza del T. melanosporum è risultata C. avellana (31,8 % di 22 campioni), seguita da C. colurna (21 % di 19 campioni), mentre Q. pubescens l’ha conservata solo nel 12,5 % delle piante esaminate. Per quanto riguarda il pioppo tremulo, le strutture micorriziche tipiche del tartufo bianco pregiato risultano ancora presenti sia pure in bassa percentuale, ma sono state in larga parte sostituite da quelle di funghi contaminanti appartenenti in prevalenza ai Basidiomycetes. La tartufaia B ha una superficie di ca. 2 ha ed è situata ad un’altitudine di 800 m s.l.m. Il suo terreno presenta le seguenti caratteristiche: esposizione prevalente, N-NE; inclinazione media, 15 %; pH del suolo, 8; substrato geologico, flyschoide con alternanza di argille e scisti marnoso-silicei della formazione ad Argille Varicolori (Mesozoico); contenuto in argilla variabile dal 29,4 % al 34,1 %. Per l’impianto sono state utilizzate piante di Q. cerris e di C. avellana micorrizate in parti uguali con T. melanosporum e T. aestivum. La tartufaia B produce da alcuni anni un discreto numero di ascomi di T. aestivum di apprezzabile pezzatura (200-400 g); non si è registrato, viceversa, alcun risultato positivo per il nero pregiato. Le cause dell’attuale situazione d’insuccesso nella produzione di T. melanosporum sono da imputare, in entrambe le tartufaie coltivate, alla mancanza di periodiche sarchiature del terreno e, in alcuni anni successivi al quinto dall’impianto, dell’irrigazione estiva. Nel caso della tartufaia B, a questi fattori negativi va aggiunta la scarsa capacità di drenaggio del terreno dovuta alla presenza di un alto contenuto di argilla che rende lo stesso alquanto compatto ed asfittico.
Studi preliminari su due tartufaie coltivate in Basilicata
Simonetta Fascetti
;Gian Luigi Rana;Stefania Mirela Mang;Leonardo Rosati
2010-01-01
Abstract
XVIII Convegno Nazionale di Micologia - Potenza 20 - 22 ottobre 2010 (absract: 39) Studi preliminari su due tartufaie coltivate in Basilicata La potenzialità tartufigena di estesi territori della Basilicata ha spinto negli ultimi due decenni parecchi agricoltori lucani a realizzare tartufaie coltivate utilizzando piante micorrizate con specie/forme di tartufo più o meno pregiate quali Tuber melanosporum e T. aestivum. In questo contributo si riportano le osservazioni effettuate in due tartufaie coltivate della provincia di Potenza, ubicate in agro di Abriola (A) e di Avigliano (B) che, a 16-17 anni dall’impianto, forniscono risultati produttivi differenti. In entrambe le tartufaie sono stati rilevati i parametri seguenti: anno d’impianto, altitudine, esposizione ed inclinazione del versante, caratteristiche fisico-chimiche del suolo, specie di pianta simbionte e densità d’impianto. Sono stati prelevati e sottoposti ad analisi per la verifica della micorizzazione numerosi campioni di radichette. Rilievi floristico-vegetazionali, effettuati nelle aree boscate limitrofe a ciascuna delle due tartufaie, hanno evidenziato come vegetazione forestale potenziale, la presenza di boschi riferibili alla serie subacidofila del Lathyro digitati-Quercetum cerris, caratteristica dei querceti submontani dell’Appennino Lucano. L’impianto A, attualmente improduttivo, presenta le seguenti caratteristiche: superficie, 2000 m2 ; altitudine, 790 m s.l.m.; substrato geologico, litofacies a scisti marnoso-silicei del Flysch del Galestrino (Mesozoico); pH del suolo, 7,9; giacitura, in prevalenza pianeggiante (53,2 % delle piante) e, in parte inclinata (23,4 %) ed esposizione N. L’impianto è costituito da 192 alberi provenienti da un vivaio dell’Umbria, appartenenti alle specie Corylus avellana (48), C. colurna (47), Ostrya carpinifolia (47), Quercus pubescens (48) e Populus tremula (2) micorrizate con T. melanosporum e, relativamente al solo pioppo tremulo, con T. magnatum. Sono stati analizzati complessivamete oltre 1500 campioni di apici radicali prelevati dal 47,9 % delle piante tartufigene totali. Sono stati ottenuti i seguenti risultati: il 23% delle piante ha mantenuto la micorriza originaria mentre, nel 19,6 % di esse, sono stati osservati anche simbionti contaminanti appartenenti agli Ascomycetes (T. aestivum, 6,5 %, T. brumale, 1,1 %, T. foetidum, 1,1 %) ed ai Basidiomycetes. La specie arborea che ha mantenuto la maggior percentuale di alberi con la micorriza del T. melanosporum è risultata C. avellana (31,8 % di 22 campioni), seguita da C. colurna (21 % di 19 campioni), mentre Q. pubescens l’ha conservata solo nel 12,5 % delle piante esaminate. Per quanto riguarda il pioppo tremulo, le strutture micorriziche tipiche del tartufo bianco pregiato risultano ancora presenti sia pure in bassa percentuale, ma sono state in larga parte sostituite da quelle di funghi contaminanti appartenenti in prevalenza ai Basidiomycetes. La tartufaia B ha una superficie di ca. 2 ha ed è situata ad un’altitudine di 800 m s.l.m. Il suo terreno presenta le seguenti caratteristiche: esposizione prevalente, N-NE; inclinazione media, 15 %; pH del suolo, 8; substrato geologico, flyschoide con alternanza di argille e scisti marnoso-silicei della formazione ad Argille Varicolori (Mesozoico); contenuto in argilla variabile dal 29,4 % al 34,1 %. Per l’impianto sono state utilizzate piante di Q. cerris e di C. avellana micorrizate in parti uguali con T. melanosporum e T. aestivum. La tartufaia B produce da alcuni anni un discreto numero di ascomi di T. aestivum di apprezzabile pezzatura (200-400 g); non si è registrato, viceversa, alcun risultato positivo per il nero pregiato. Le cause dell’attuale situazione d’insuccesso nella produzione di T. melanosporum sono da imputare, in entrambe le tartufaie coltivate, alla mancanza di periodiche sarchiature del terreno e, in alcuni anni successivi al quinto dall’impianto, dell’irrigazione estiva. Nel caso della tartufaia B, a questi fattori negativi va aggiunta la scarsa capacità di drenaggio del terreno dovuta alla presenza di un alto contenuto di argilla che rende lo stesso alquanto compatto ed asfittico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.