Il saggio discute del rapporto tra Ernesto de Martino e il folklore nel contesto del dibattito sviluppatosi nel secondo dopoguerra sul folklore inteso come scienza di matrice ottocentesca e borghese, che fino a quel momento aveva considerato i volghi e i primitivi solo come portatori di forme ed espressioni culturali la cui nascita e i cui significati si collocavano in epoche passate della vicenda umana, quindi fondamentalmente come oggetti di indagine e non come soggetti di storia. De Martino si inseriva in tale dibattito configurando il pensiero borghese come privo di una dimensione storicistica e, quindi, sostanzialmente incapace di storicizzare l’arcaico, oltre che del tutto disinteressato a cogliere i fermenti nuovi, in termini di consapevolezza e di prospettiva politica, insiti in quell’irruzione nella storia del mondo popolare subalterno su cui egli avrebbe centrato l’analisi nel notissimo saggio su «Società» del 1949. Lungo questa via, egli maturò la convinzione che non potesse esistere una scienza autonoma del folklore e che, anzi, che il folklore non fosse neppure una scienza, e nemmeno in sé storia, ma solo «una particolare istanza documentaria», utile solo per cogliere elementi presenti nella dialettica contemporanea tra le classi sociali e interpretabili alla luce della dinamica culturale caratterizzante nella società contemporanea i rapporti tra egemonia e subalternità. Il testo riflette poi sul contesto empirico, rappresentato dalla Lucania, entro cui de Martino condusse la propria esperienza etnografica trovando riscontri tra la realtà psicologica e culturale dei contadini meridionali e i propri principi teorici.

Ernesto de Martino, il folklore e i folkloristi

F. Mirizzi
2020-01-01

Abstract

Il saggio discute del rapporto tra Ernesto de Martino e il folklore nel contesto del dibattito sviluppatosi nel secondo dopoguerra sul folklore inteso come scienza di matrice ottocentesca e borghese, che fino a quel momento aveva considerato i volghi e i primitivi solo come portatori di forme ed espressioni culturali la cui nascita e i cui significati si collocavano in epoche passate della vicenda umana, quindi fondamentalmente come oggetti di indagine e non come soggetti di storia. De Martino si inseriva in tale dibattito configurando il pensiero borghese come privo di una dimensione storicistica e, quindi, sostanzialmente incapace di storicizzare l’arcaico, oltre che del tutto disinteressato a cogliere i fermenti nuovi, in termini di consapevolezza e di prospettiva politica, insiti in quell’irruzione nella storia del mondo popolare subalterno su cui egli avrebbe centrato l’analisi nel notissimo saggio su «Società» del 1949. Lungo questa via, egli maturò la convinzione che non potesse esistere una scienza autonoma del folklore e che, anzi, che il folklore non fosse neppure una scienza, e nemmeno in sé storia, ma solo «una particolare istanza documentaria», utile solo per cogliere elementi presenti nella dialettica contemporanea tra le classi sociali e interpretabili alla luce della dinamica culturale caratterizzante nella società contemporanea i rapporti tra egemonia e subalternità. Il testo riflette poi sul contesto empirico, rappresentato dalla Lucania, entro cui de Martino condusse la propria esperienza etnografica trovando riscontri tra la realtà psicologica e culturale dei contadini meridionali e i propri principi teorici.
2020
978-88-6194-462-6
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