Obiettivo portante del lavoro di tesi è stato quello di analizzare, nel più complessivo contesto del Mezzogiorno continentale di età napoleonica, istituzioni e ceti dirigenti di Capitanata, con particolare attenzione al passaggio dalle Università di ancien régime alle Municipalità ed ai Comuni. A tal fine, ci si è concentrati su due città regie e due feudali, Foggia e Manfredonia, Cerignola e San Severo, contesti istituzionali e socio-economici differenti e, dunque, più funzionali a poter coglierne persistenze e trasformazioni lungo anni cruciali, quali quelli napoleonici, anche nella storia del Mezzogiorno d’Italia. Nel primo caso, quello delle città di Foggia e Manfredonia, lo scontro per il potere fra i ceti dirigenti fu più interno e legato strettamente alla ridefinizione dei requisiti di accesso alle cariche pubbliche, per censo e per merito, non più per ceto, mentre nel secondo, Cerignola e San Severo, coinvolse anche un “nemico” esterno, il feudatario, ritenuto colpevole di soprusi contro la relativa comunità, in misura maggiore nel caso di Cerignola rispetto a San Severo. In effetti, alla vigilia del 1799 in diverse Università della Capitanata stavano iniziando ad assumere rilevanza economica e, di conseguenza, politica, nuclei della borghesia terriera e delle professioni, homines novi, che avevano come scopo quello di scardinare il monopolio delle famiglie aristocratiche nelle varie amministrazioni cittadine, ancora fortemente condizionate dalla rigida divisione cetuale dell’ancien régime. In tale direzione erano, infatti, andate le riforme che, già dalla metà circa del Settecento, avevano interessato diversi Consigli cittadini, rappresentando, quindi, i prodromi di una maggiore partecipazione nelle dinamiche di potere locale dell’emergente ceto borghese. Si considerino, al riguardo, i cambiamenti che riguardarono i criteri ascrittivi al Reggimento di Foggia, al Consiglio cittadino di Manfredonia o al Decurionato di San Severo, tutti attuati fra gli anni Trenta e Sessanta del XVIII secolo, tra i quali non si può non ravvisare un parallelismo, probabilmente da attribuire a quel processo di accentuazione della mobilità sociale che caratterizzò diverse città meridionali proprio intorno alla metà del secolo XVIII. In questi tre centri, pertanto, la borghesia, sia mercantile e delle professioni, che proprietaria, dopo essersi consolidata sotto il profilo economico, cercava di legittimarsi ed acquisire rendite di posizione a scapito delle famiglie aristocratiche, fortemente ridimensionate ed indebolite, in linea con quanto si stava verificando, negli stessi anni, in diverse altre città pugliesi, dove il sistema della divisione dei ceti era entrato in crisi e stava subendo dei cambiamenti fondamentali. In molte realtà locali, infatti, si era cominciata ad evidenziare la costituzione di un terzo ceto, composto da famiglie di netta estrazione popolare, distinte dal secondo ceto, quello dei “civili”, che venne così sempre più a caratterizzarsi come il ceto borghese per antonomasia. Questo consentì alle famiglie del ceto civile di ritrovare un’identità meno ambigua, definendosi ormai con chiarezza come un vero ceto borghese di antico regime. Per quanto concerne, invece, Cerignola è da evidenziare che l’università presentava delle sue peculiarità rispetto agli altri tre casi di studio. In primo luogo, infatti, risulta evidente come a condizionarne la vita politico-amministrativa fossero soprattutto gli scontri tra la fazione baronale e quella demanialista, acuitisi alla fine del Settecento, nel cui solco si dipanavano tutte le dinamiche di potere cittadino, fortemente polarizzate. Relazioni, competenze professionali, spregiudicatezza, ma anche tendenza ad inserirsi abilmente e spregiudicatamente in nicchie protette dal potere centrale o locale furono, quindi, le qualità che servirono a propiziare ricchezza e rango sociale agli esponenti della borghesia emergente che si stava affermando nella Capitanata di fine secolo. Questa, dunque, la configurazione istituzionale portante ove si diffusero le idee-forza rivoluzionarie del 1799, che, infatti, trovarono sostegno soprattutto nei ceti borghesi emergenti, che speravano di poter sfruttare a proprio vantaggio i nuovi assetti istituzionali delle neocostituite Municipalità repubblicane, ritagliandosi nuovi spazi di potere, anche attraverso convergenze con gli strati sociali più deboli, pur nella diversità delle rispettive finalità. L’orizzonte delle Municipalità di Capitanata fu, perciò, caratterizzato da un continuo comporsi, scomporsi e ricomporsi delle alleanze sociali, a partire da un’iniziale azione comune, pur mossa da intenti differenti, nelle varie realtà locali, fra nuclei borghesi e contadini. Successivamente contadini poveri e, in genere, strati sociali più deboli, sempre più disillusi nella loro “fame di terra”, si andarono ricollocando in campo antirepubblicano, insieme, ma di nuovo per ragioni e obiettivi opposti, con esponenti dei ceti dirigenti, soprattutto aristocratici, grandi proprietari e rappresentanti della borghesia delle professioni. Nell’analisi dei quattro casi di studio, durante la contingenza del ‘99, emerge quindi fortemente l’atteggiamento trasformistico ed opportunistico dei ceti dirigenti cittadini, seppure con sfaccettature differenti tra le università regie e quelle infeudate. Per quanto, infatti, concerne le prime, Foggia e Manfredonia, è da annotare come le élites municipali, specie gli esponenti della borghesia emergente, cercassero soprattutto di sfruttare i cambiamenti politico-istituzionali introdotti nelle Municipalità a proprio vantaggio, per consolidare la propria posizione, senza tuttavia indulgere in eccessi che avrebbero potuto portare a derive pericolose e incontrollabili. Per quanto riguarda, invece, le seconde, le università feudali di Cerignola e San Severo, l’adesione al progetto repubblicano o a quello sanfedista fu dettato maggiormente da riposizionamenti interni ai ceti dirigenti locali e da aspri scontri fazionari che si celavano dietro false ed apparenti motivazioni ideologiche, prevalentemente usate come paraventi di facciata. Non sorretta da profonde e solide motivazioni ideologiche, ma inficiata da opportunistici interessi fazionari nei vari contesti locali, la stessa spinta propulsiva data in genere alle Municipalità repubblicane dalle Istruzioni generali ai Patrioti, finì per esaurirsi ben presto, anche a causa della svolta centralistica attuata dal governo della Repubblica con la decretazione del 9 febbraio 1799. Non casualmente, i ceti dirigenti di Capitanata accolsero in genere con compartecipazione il ritorno della restaurata monarchia borbonica, dalla quale erano comunque ancora ritenuti interlocutori affidabili ed imprescindibili, specie per mantenere l’ordine e la sicurezza nelle diverse comunità. Durante la Prima Restaurazione, perciò, si registrò, rispetto agli anni precedenti, una sostanziale continuità nella gestione del potere da parte delle élites, come è ampiamente risultato dall’analisi dei profili degli amministratori dei quattro casi di studio. Comunque, diversi protagonisti del 1799 continuarono a rivestire un ruolo centrale anche nel corso del Decennio napoleonico, a conferma di come il pentamestre repubblicano sia stato propedeutico alla stagione di riforme strutturali introdotte successivamente dai Napoleonidi. Infatti, dopo il transitorio ritorno alla pratica istituzionale-amministrativa di antico regime, che caratterizzò il breve arco temporale relativo alla prima restaurazione, con il Decennio si concretizzò un’organica riforma della complessiva rete istituzionale-amministrativa, centrale e periferica, che, pur ancora a lungo segnata da diffuse persistenze e resistenze, oggettivamente concorse ad affermare una reale ed incisiva presenza dello Stato nell’articolazione dei livelli d’esercizio dei suoi ruoli e delle sue funzioni sul territorio. Come in altre province, nel nuovo spazio istituzionale-amministrativo si andò, quindi, di fatto determinando un processo di rigerarchizzazione tra luoghi abitati ed ambiti territoriali, essenzialmente in ragione delle nuove funzioni istituzionali-amministrative localmente esercitabili, dai capoluoghi di provincia a quelli distrettuali, ai più piccoli comuni.Tale ridisegnato rapporto centro-periferia risulta evidente anche in Capitanata, dove, come si è avuto modo di descrivere, la nuova figura dell’Intendente incontrò spesso difficoltà e ritardi nell’espletamento delle sue funzioni, a causa delle resistenze messe in atto dai ceti dirigenti locali, timorosi di perdere le loro ataviche prerogative. Come altrove, pertanto, il Decennio napoleonico fu connotato da radicali riforme strutturali sotto il profilo istituzionale-amministrativo e socio-economico, portando a cambiamenti profondi nella cultura e nella pratica politica ed aprendo così nuovi spazi politico-istituzionali, quali, per esempio, il Consiglio generale provinciale e quelli distrettuali. In essi i ceti dirigenti locali cercarono d’inserirsi per legittimarsi, superando le mere logiche cittadine e muovendosi in un’ottica sovramunicipale. Allora, diversi esponenti di spicco dell’élite di Capitanata rivestirono nuove cariche sia nei Decurionati che nei Consigli, allo scopo di controllare le varie leve del potere provinciale. Rispetto alla conformazione di tali ceti dirigenti, lo stesso Decennio non produsse in Capitanata cambiamenti profondi rispetto agli anni precedenti, considerando che molti dei protagonisti della vita politica di fine Settecento-inizi Ottocento continuarono anche con i Napoleonidi ad occupare cariche e pubblici impieghi nei diversi livelli del pur nuovo sistema amministrativo provinciale e comunale. In particolare, per i casi di Foggia, Manfredonia e San Severo, si è potuto notare come le élites municipali del Decennio avessero iniziato ad acquisire rilevanza già dalla fine del Settecento, mentre per Cerignola si è riscontrata una maggiore discontinuità, dovuta all’accresciuta influenza acquisita dal “partito demanialista” nella temperie degli anni napoleonici. Il delicato passaggio dall’Università “alla Comune” risulta essere stato, quindi, caratterizzato, a livello di rappresentanze istituzionali, più da persistenze che da innovazioni, rilevabili, queste ultime, soprattutto nella presenza, accanto ad esponenti di già solide famiglie locali, di nuove rappresentanze socio-professionali, in larga parte riconducibili alla media e grossa borghesia, prevalentemente terriera, che ebbe modo di rafforzarsi attraverso l’acquisto di ex beni ecclesiastici e demaniali. E ciò in parte anche attraverso nuclei della borghesia delle professioni e impiegatizia, per la quale, come in altre aree del Mezzogiorno d’Italia, si erano venuti sempre più aprendo ampi e gratificanti spazi di esercizio del potere proprio sul terreno del governo locale. Il personale politico-amministrativo di questi anni risulta, perciò, in prevalenza connotato, nel suo nucleo più solido, da presenze riconducibili alla complessiva stagione politica napoleonica, dalle prime esperienze municipali del pentamestre repubblicano al Decennio ed alla rivoluzione costituzionale del 1820-21, fra resistenze ed innovazioni, congiuntamente con contingenti “adattamenti” a circostanze locali. Comunque, così come nelle province contermini, tale personale istituzionale-amministrativo risulta essere stato, nell’insieme, coprotagonista attivo all’interno di una più generale configurazione dei nuovi spazi politici moderni, esercitando un non trascurabile ruolo nel processo di formazione dell’identità nazionale, anche nel e da Sud.

LA CAPITANATA NAPOLEONICA ISTITUZIONI E CETI DIRIGENTI DALLE UNIVERSITÀ ALLE MUNICIPALITÀ, AI COMUNI / Sassano, Roberta. - (2020 Feb 11).

LA CAPITANATA NAPOLEONICA ISTITUZIONI E CETI DIRIGENTI DALLE UNIVERSITÀ ALLE MUNICIPALITÀ, AI COMUNI

SASSANO, Roberta
2020-02-11

Abstract

Obiettivo portante del lavoro di tesi è stato quello di analizzare, nel più complessivo contesto del Mezzogiorno continentale di età napoleonica, istituzioni e ceti dirigenti di Capitanata, con particolare attenzione al passaggio dalle Università di ancien régime alle Municipalità ed ai Comuni. A tal fine, ci si è concentrati su due città regie e due feudali, Foggia e Manfredonia, Cerignola e San Severo, contesti istituzionali e socio-economici differenti e, dunque, più funzionali a poter coglierne persistenze e trasformazioni lungo anni cruciali, quali quelli napoleonici, anche nella storia del Mezzogiorno d’Italia. Nel primo caso, quello delle città di Foggia e Manfredonia, lo scontro per il potere fra i ceti dirigenti fu più interno e legato strettamente alla ridefinizione dei requisiti di accesso alle cariche pubbliche, per censo e per merito, non più per ceto, mentre nel secondo, Cerignola e San Severo, coinvolse anche un “nemico” esterno, il feudatario, ritenuto colpevole di soprusi contro la relativa comunità, in misura maggiore nel caso di Cerignola rispetto a San Severo. In effetti, alla vigilia del 1799 in diverse Università della Capitanata stavano iniziando ad assumere rilevanza economica e, di conseguenza, politica, nuclei della borghesia terriera e delle professioni, homines novi, che avevano come scopo quello di scardinare il monopolio delle famiglie aristocratiche nelle varie amministrazioni cittadine, ancora fortemente condizionate dalla rigida divisione cetuale dell’ancien régime. In tale direzione erano, infatti, andate le riforme che, già dalla metà circa del Settecento, avevano interessato diversi Consigli cittadini, rappresentando, quindi, i prodromi di una maggiore partecipazione nelle dinamiche di potere locale dell’emergente ceto borghese. Si considerino, al riguardo, i cambiamenti che riguardarono i criteri ascrittivi al Reggimento di Foggia, al Consiglio cittadino di Manfredonia o al Decurionato di San Severo, tutti attuati fra gli anni Trenta e Sessanta del XVIII secolo, tra i quali non si può non ravvisare un parallelismo, probabilmente da attribuire a quel processo di accentuazione della mobilità sociale che caratterizzò diverse città meridionali proprio intorno alla metà del secolo XVIII. In questi tre centri, pertanto, la borghesia, sia mercantile e delle professioni, che proprietaria, dopo essersi consolidata sotto il profilo economico, cercava di legittimarsi ed acquisire rendite di posizione a scapito delle famiglie aristocratiche, fortemente ridimensionate ed indebolite, in linea con quanto si stava verificando, negli stessi anni, in diverse altre città pugliesi, dove il sistema della divisione dei ceti era entrato in crisi e stava subendo dei cambiamenti fondamentali. In molte realtà locali, infatti, si era cominciata ad evidenziare la costituzione di un terzo ceto, composto da famiglie di netta estrazione popolare, distinte dal secondo ceto, quello dei “civili”, che venne così sempre più a caratterizzarsi come il ceto borghese per antonomasia. Questo consentì alle famiglie del ceto civile di ritrovare un’identità meno ambigua, definendosi ormai con chiarezza come un vero ceto borghese di antico regime. Per quanto concerne, invece, Cerignola è da evidenziare che l’università presentava delle sue peculiarità rispetto agli altri tre casi di studio. In primo luogo, infatti, risulta evidente come a condizionarne la vita politico-amministrativa fossero soprattutto gli scontri tra la fazione baronale e quella demanialista, acuitisi alla fine del Settecento, nel cui solco si dipanavano tutte le dinamiche di potere cittadino, fortemente polarizzate. Relazioni, competenze professionali, spregiudicatezza, ma anche tendenza ad inserirsi abilmente e spregiudicatamente in nicchie protette dal potere centrale o locale furono, quindi, le qualità che servirono a propiziare ricchezza e rango sociale agli esponenti della borghesia emergente che si stava affermando nella Capitanata di fine secolo. Questa, dunque, la configurazione istituzionale portante ove si diffusero le idee-forza rivoluzionarie del 1799, che, infatti, trovarono sostegno soprattutto nei ceti borghesi emergenti, che speravano di poter sfruttare a proprio vantaggio i nuovi assetti istituzionali delle neocostituite Municipalità repubblicane, ritagliandosi nuovi spazi di potere, anche attraverso convergenze con gli strati sociali più deboli, pur nella diversità delle rispettive finalità. L’orizzonte delle Municipalità di Capitanata fu, perciò, caratterizzato da un continuo comporsi, scomporsi e ricomporsi delle alleanze sociali, a partire da un’iniziale azione comune, pur mossa da intenti differenti, nelle varie realtà locali, fra nuclei borghesi e contadini. Successivamente contadini poveri e, in genere, strati sociali più deboli, sempre più disillusi nella loro “fame di terra”, si andarono ricollocando in campo antirepubblicano, insieme, ma di nuovo per ragioni e obiettivi opposti, con esponenti dei ceti dirigenti, soprattutto aristocratici, grandi proprietari e rappresentanti della borghesia delle professioni. Nell’analisi dei quattro casi di studio, durante la contingenza del ‘99, emerge quindi fortemente l’atteggiamento trasformistico ed opportunistico dei ceti dirigenti cittadini, seppure con sfaccettature differenti tra le università regie e quelle infeudate. Per quanto, infatti, concerne le prime, Foggia e Manfredonia, è da annotare come le élites municipali, specie gli esponenti della borghesia emergente, cercassero soprattutto di sfruttare i cambiamenti politico-istituzionali introdotti nelle Municipalità a proprio vantaggio, per consolidare la propria posizione, senza tuttavia indulgere in eccessi che avrebbero potuto portare a derive pericolose e incontrollabili. Per quanto riguarda, invece, le seconde, le università feudali di Cerignola e San Severo, l’adesione al progetto repubblicano o a quello sanfedista fu dettato maggiormente da riposizionamenti interni ai ceti dirigenti locali e da aspri scontri fazionari che si celavano dietro false ed apparenti motivazioni ideologiche, prevalentemente usate come paraventi di facciata. Non sorretta da profonde e solide motivazioni ideologiche, ma inficiata da opportunistici interessi fazionari nei vari contesti locali, la stessa spinta propulsiva data in genere alle Municipalità repubblicane dalle Istruzioni generali ai Patrioti, finì per esaurirsi ben presto, anche a causa della svolta centralistica attuata dal governo della Repubblica con la decretazione del 9 febbraio 1799. Non casualmente, i ceti dirigenti di Capitanata accolsero in genere con compartecipazione il ritorno della restaurata monarchia borbonica, dalla quale erano comunque ancora ritenuti interlocutori affidabili ed imprescindibili, specie per mantenere l’ordine e la sicurezza nelle diverse comunità. Durante la Prima Restaurazione, perciò, si registrò, rispetto agli anni precedenti, una sostanziale continuità nella gestione del potere da parte delle élites, come è ampiamente risultato dall’analisi dei profili degli amministratori dei quattro casi di studio. Comunque, diversi protagonisti del 1799 continuarono a rivestire un ruolo centrale anche nel corso del Decennio napoleonico, a conferma di come il pentamestre repubblicano sia stato propedeutico alla stagione di riforme strutturali introdotte successivamente dai Napoleonidi. Infatti, dopo il transitorio ritorno alla pratica istituzionale-amministrativa di antico regime, che caratterizzò il breve arco temporale relativo alla prima restaurazione, con il Decennio si concretizzò un’organica riforma della complessiva rete istituzionale-amministrativa, centrale e periferica, che, pur ancora a lungo segnata da diffuse persistenze e resistenze, oggettivamente concorse ad affermare una reale ed incisiva presenza dello Stato nell’articolazione dei livelli d’esercizio dei suoi ruoli e delle sue funzioni sul territorio. Come in altre province, nel nuovo spazio istituzionale-amministrativo si andò, quindi, di fatto determinando un processo di rigerarchizzazione tra luoghi abitati ed ambiti territoriali, essenzialmente in ragione delle nuove funzioni istituzionali-amministrative localmente esercitabili, dai capoluoghi di provincia a quelli distrettuali, ai più piccoli comuni.Tale ridisegnato rapporto centro-periferia risulta evidente anche in Capitanata, dove, come si è avuto modo di descrivere, la nuova figura dell’Intendente incontrò spesso difficoltà e ritardi nell’espletamento delle sue funzioni, a causa delle resistenze messe in atto dai ceti dirigenti locali, timorosi di perdere le loro ataviche prerogative. Come altrove, pertanto, il Decennio napoleonico fu connotato da radicali riforme strutturali sotto il profilo istituzionale-amministrativo e socio-economico, portando a cambiamenti profondi nella cultura e nella pratica politica ed aprendo così nuovi spazi politico-istituzionali, quali, per esempio, il Consiglio generale provinciale e quelli distrettuali. In essi i ceti dirigenti locali cercarono d’inserirsi per legittimarsi, superando le mere logiche cittadine e muovendosi in un’ottica sovramunicipale. Allora, diversi esponenti di spicco dell’élite di Capitanata rivestirono nuove cariche sia nei Decurionati che nei Consigli, allo scopo di controllare le varie leve del potere provinciale. Rispetto alla conformazione di tali ceti dirigenti, lo stesso Decennio non produsse in Capitanata cambiamenti profondi rispetto agli anni precedenti, considerando che molti dei protagonisti della vita politica di fine Settecento-inizi Ottocento continuarono anche con i Napoleonidi ad occupare cariche e pubblici impieghi nei diversi livelli del pur nuovo sistema amministrativo provinciale e comunale. In particolare, per i casi di Foggia, Manfredonia e San Severo, si è potuto notare come le élites municipali del Decennio avessero iniziato ad acquisire rilevanza già dalla fine del Settecento, mentre per Cerignola si è riscontrata una maggiore discontinuità, dovuta all’accresciuta influenza acquisita dal “partito demanialista” nella temperie degli anni napoleonici. Il delicato passaggio dall’Università “alla Comune” risulta essere stato, quindi, caratterizzato, a livello di rappresentanze istituzionali, più da persistenze che da innovazioni, rilevabili, queste ultime, soprattutto nella presenza, accanto ad esponenti di già solide famiglie locali, di nuove rappresentanze socio-professionali, in larga parte riconducibili alla media e grossa borghesia, prevalentemente terriera, che ebbe modo di rafforzarsi attraverso l’acquisto di ex beni ecclesiastici e demaniali. E ciò in parte anche attraverso nuclei della borghesia delle professioni e impiegatizia, per la quale, come in altre aree del Mezzogiorno d’Italia, si erano venuti sempre più aprendo ampi e gratificanti spazi di esercizio del potere proprio sul terreno del governo locale. Il personale politico-amministrativo di questi anni risulta, perciò, in prevalenza connotato, nel suo nucleo più solido, da presenze riconducibili alla complessiva stagione politica napoleonica, dalle prime esperienze municipali del pentamestre repubblicano al Decennio ed alla rivoluzione costituzionale del 1820-21, fra resistenze ed innovazioni, congiuntamente con contingenti “adattamenti” a circostanze locali. Comunque, così come nelle province contermini, tale personale istituzionale-amministrativo risulta essere stato, nell’insieme, coprotagonista attivo all’interno di una più generale configurazione dei nuovi spazi politici moderni, esercitando un non trascurabile ruolo nel processo di formazione dell’identità nazionale, anche nel e da Sud.
11-feb-2020
Età napoleonica; ancient régime; istituzioni; Capitanata; ceti dirigenti
LA CAPITANATA NAPOLEONICA ISTITUZIONI E CETI DIRIGENTI DALLE UNIVERSITÀ ALLE MUNICIPALITÀ, AI COMUNI / Sassano, Roberta. - (2020 Feb 11).
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