La storia delle ricerche sulla Lucania antica nel XIX secolo costituisce un argomento abbastanza ben trattato nella letteratura archeologica, sia in contributi di studiosi locali sia all’interno di studi di maggior respiro. Una pagina molto importante di quella storia, tuttavia, è stata quasi completamente tralasciata: quella riguardante i “maestri ed esperti scavatori di antichità”, delle vere e proprie figure professionali che nacquero e si affermarono nella provincia borbonica di Basilicata come risposta al più generale clima di “fervore antiquario” dell’Europa ottocentesca. L’obiettivo del poster che s’intende presentare in occasione del prossimo Convegno di Parigi, è appunto quello di sottoporre all’attenzione del dibattito scientifico internazionale aspetti e dinamiche di un fenomeno tanto rilevante quanto trascurato della storia dell’archeologia lucana, anche alla luce di un riesame critico della documentazione d’archivio in larga parte inedita. “I più valenti ed istruiti scavatori” venivano dalla Basilicata ed erano “talmente rinomati pel tutto il regno” da meritarsi numerose menzioni nella bibliografia ottocentesca (Fig. 1). Questa nuova ed originale professionalità, coinvolgeva in modo trasversale un’ampia fascia della popolazione - contadini, canonici, signori di provincia -, la cui valente maestria ebbe occasione di esercitarsi in molteplici attività di scavo che fruttarono, già dalla fine del XVIII secolo, alcune delle più importanti scoperte effettuate nel sottosuolo lucano. Sappiamo, infatti, che essi operarono al soldo dell’Intendenza Borbonica nei territori di Anzi e di Marsiconuovo (1822), ma con ogni probabilità anche in altri importanti siti lucani, quali Potenza, Pisticci, Eraclea, Metaponto, Grumento e Pomarico. Accanto agli scavi autorizzati, tuttavia, moltissimi altri furono effettuati senza “legittima permissione”: ad esempio quelli del 1814 ad Armento in cui, anche grazie alla grande abilità degli scavatori lucani, furono riportati alla luce celebri reperti come la stupenda corona aurea di Critonio, ora ai musei di Monaco (Fig. 3). D’altronde, che gli scavi abusivi e il commercio illegale di “anticaglie” fosse la ratio communis per questi professionisti del settore, i cui nomi più ricorrenti sono G. Urgo, G. E. Colasurdo e B. Zito, è documentato con chiarezza dalle fonti archivistiche (Fig. 2). La loro lettura, infatti, ci consente di delineare un quadro molto vivace di un’attività di ampio raggio, testimoniando il ruolo di primo piano da essi svolto nell’ingente dispersione del patrimonio archeologico lucano soprattutto durante la prima metà dell’Ottocento.

Maestri ed esperti scavatori d’antichità: archeologia ufficiale e ricerche clandestine nella Basilicata del XIX secolo

Fabio Donnici;Anna Rita Lucciardi;Antonio Pecci
2019-01-01

Abstract

La storia delle ricerche sulla Lucania antica nel XIX secolo costituisce un argomento abbastanza ben trattato nella letteratura archeologica, sia in contributi di studiosi locali sia all’interno di studi di maggior respiro. Una pagina molto importante di quella storia, tuttavia, è stata quasi completamente tralasciata: quella riguardante i “maestri ed esperti scavatori di antichità”, delle vere e proprie figure professionali che nacquero e si affermarono nella provincia borbonica di Basilicata come risposta al più generale clima di “fervore antiquario” dell’Europa ottocentesca. L’obiettivo del poster che s’intende presentare in occasione del prossimo Convegno di Parigi, è appunto quello di sottoporre all’attenzione del dibattito scientifico internazionale aspetti e dinamiche di un fenomeno tanto rilevante quanto trascurato della storia dell’archeologia lucana, anche alla luce di un riesame critico della documentazione d’archivio in larga parte inedita. “I più valenti ed istruiti scavatori” venivano dalla Basilicata ed erano “talmente rinomati pel tutto il regno” da meritarsi numerose menzioni nella bibliografia ottocentesca (Fig. 1). Questa nuova ed originale professionalità, coinvolgeva in modo trasversale un’ampia fascia della popolazione - contadini, canonici, signori di provincia -, la cui valente maestria ebbe occasione di esercitarsi in molteplici attività di scavo che fruttarono, già dalla fine del XVIII secolo, alcune delle più importanti scoperte effettuate nel sottosuolo lucano. Sappiamo, infatti, che essi operarono al soldo dell’Intendenza Borbonica nei territori di Anzi e di Marsiconuovo (1822), ma con ogni probabilità anche in altri importanti siti lucani, quali Potenza, Pisticci, Eraclea, Metaponto, Grumento e Pomarico. Accanto agli scavi autorizzati, tuttavia, moltissimi altri furono effettuati senza “legittima permissione”: ad esempio quelli del 1814 ad Armento in cui, anche grazie alla grande abilità degli scavatori lucani, furono riportati alla luce celebri reperti come la stupenda corona aurea di Critonio, ora ai musei di Monaco (Fig. 3). D’altronde, che gli scavi abusivi e il commercio illegale di “anticaglie” fosse la ratio communis per questi professionisti del settore, i cui nomi più ricorrenti sono G. Urgo, G. E. Colasurdo e B. Zito, è documentato con chiarezza dalle fonti archivistiche (Fig. 2). La loro lettura, infatti, ci consente di delineare un quadro molto vivace di un’attività di ampio raggio, testimoniando il ruolo di primo piano da essi svolto nell’ingente dispersione del patrimonio archeologico lucano soprattutto durante la prima metà dell’Ottocento.
2019
978-2-38050-020-2
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F. Donnici et alii, Esperti scavatori di antichità. Archeologia ufficiale e ricerche clandestine nella Basilicata del XIX secolo.pdf

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