Conoscere per documentare il patrimonio pittorico parietale custodito nelle tante emergenze architettoniche lucane significa ripercorrere un territorio eterogeneo, dove diversi popoli e culture hanno lasciato la loro traccia. Il fenomeno dell’habitat rupestre in Basilicata appare di non facile analisi e interessa aree circoscritte della regione, quali il territorio delimitato da Matera e Montescaglioso, la zona del Vulture e piccole altre porzioni, come per esempio l’area delle Dolomiti Lucane, dove il fenomeno assume caratteristiche diverse rispetto al territorio materano. “Lo sviluppo dell’habitat rupestre è diretta conseguenza dell’ambiente calcareo della Murgia e vulcanico del Vulture ove la facilità di scavo e lavorazione della roccia, pur nella diversità della formazione geomorfologica, è simile a quella del tufo materano”. Nel territorio della Murgia, caratterizzato da una facilità di scavo del banco roccioso e da un clima siccitoso, si ha una prevalenza di architetture scavate rispetto a quelle costruite per la capacità delle prime di ‘adattamento’ all’ambiente. Pertanto gli insediamenti rupestri non si limitano a soli luoghi di culto, ma anche a strutture abitative, ambienti di servizio e di approvvigionamento idrico. Una situazione differente si riscontra nella Basilicata interna, e in particolare nell’area del Vulture, caratterizzata da un clima più umido, da rocce vulcaniche e dove il territorio presenta un’altimetria più elevata e una copertura arborea molto più ricca. In questo contesto non si riscontra la presenza di residenze in grotta, ad eccezioni di alcuni puntuali episodi, ma ritroviamo l’uso di architetture per sottrazione per la produzione di vino e olio, mentre sono diffusi i luoghi di culto rupestri legati a comunità monastiche benedettine presenti a partire dal IX secolo. “Un aspetto specifico dell’habitat rupestre è la collocazione in grotta di luoghi di culto dedicati in particolare all’Arcangelo ed alla Vergine”. A tal proposito, oltre all’importante santuario di Monticchio, altre testimonianze di grotte consacrate al culto di san Michele, concepite come al voler riproporre il santuario di Monte Sant’Angelo in Puglia dove nasce il culto micaelico, le troviamo ad Acerenza, a Maratea, a Irsina, a Matera e in altri centri lucani. Non mancano poi strutture rupestri dedicate ad altri santi, come a Melfi con le cripte di santa Lucia e santa Margherita, sant’Antonio Abate a Oppido e altre, oltre alle tante testimonianze delle chiese rupestri nel territorio materano dove, come detto in precedenza, non parliamo di singoli episodi rupestri ma di veri e propri complessi. Interessante è lo studio delle testimonianze pittoriche che molte delle architetture per sottrazione ospitano al loro interno. L’attenzione, oltre che alle peculiarità artistiche (pittoriche, iconografiche, etc.), è rivolta allo studio di questi episodi artistici per la comprensione della spazialità all’interno della scena raffigurata. Tra la fine del XII e la prima metà del secolo successivo nuove architetture rupestri sono scavate nel banco di tufo, e le nude pareti sono ricoperte di immagini di santi e madonne. “Si tratta di una produzione pittorica eclettica, ambivalente, che è testimonianza, da un lato della forte influenza esercitata dall’Oriente, in seguito soprattutto alle Crociate, dall’altro lato dei nuovi stimoli di una cultura occidentale intervenuti con la penetrazione benedettina e con l’avvento dei Normanni”. In questi contesti pittura e architettura, spazio e colore, si integrano divenendo un unico ‘oggetto’ dai forti caratteri suggestionali ed emozionali. Il percorso di studio delle espressioni artistiche e architettoniche non può prescindere dalla conoscenza, ovvero da tutto quel processo di analisi iniziale in cui la ‘misurazione’ consente la redazione di una documentazione necessaria alla fase di analisi successiva. Metodi tradizionali e innovativi del rilievo diventano gli strumenti mediante i quali sono restituiti gli ambienti che ospitano le testimonianze artistiche prima dette. In particolare la sperimentazione di nuove metodologie di analisi e restituzione in quest’ambito diventa uno dei capisaldi di articolati percorsi di ricerca finalizzati alla valorizzazione e fruizione dei beni culturali. L’avvento del digitale ha certamente rappresentato negli ultimi anni un’importante svolta per l’acquisizione e gestione dei dati, per la documentazione e per la diagnostica; inoltre oggi l’immagine digitale ha introdotto, anche nell’ambito dei beni culturali, i concetti di virtuale, simulazione e modello. In quest’ambito di studio anche il ‘colore’ ha il suo ruolo centrale, non solo perché le testimonianze parietali lucane sono cromaticamente caratterizzate, ma anche perché queste superfici dipinte ‘contraddistinguono’ l’architettura, definiscono lo spazio architettonico poiché ‘limite’ interno-esterno, e rappresentano lo ‘sfondamento’ del detto limite, ovvero creano una prosecuzione di uno spazio costruito in un’appendice disegnata. L’analisi iconografica parte con l’identificazione degli elementi rappresentati nella scena. “S’inizia pertanto ad esaminare con attenzione le figure umane, gli animali, e gli oggetti inanimati (elementi di arredo, architetture, paesaggi). Delle figure umane o animali ci si sofferma a considerare con cura attributi e segni distintivi emblematici: abbigliamento, tratti fisici, attributi. Per quanto concerne invece gli oggetti inanimati, si verifica attentamente il contesto ambientale, temporale e spaziale nel quale essi sono inseriti”. Modellazione virtuale e rilievo consentono, dunque, di documentare, studiare, e valorizzare queste testimonianze del passato e di cogliere anche il rapporto tra architettura e pittura parietale.

Spazio e iconografia nella pittura parietale rupestre in Basilicata.

CONTE, Antonio
;
BIXIO, Antonio;Damone Giuseppe;
2016-01-01

Abstract

Conoscere per documentare il patrimonio pittorico parietale custodito nelle tante emergenze architettoniche lucane significa ripercorrere un territorio eterogeneo, dove diversi popoli e culture hanno lasciato la loro traccia. Il fenomeno dell’habitat rupestre in Basilicata appare di non facile analisi e interessa aree circoscritte della regione, quali il territorio delimitato da Matera e Montescaglioso, la zona del Vulture e piccole altre porzioni, come per esempio l’area delle Dolomiti Lucane, dove il fenomeno assume caratteristiche diverse rispetto al territorio materano. “Lo sviluppo dell’habitat rupestre è diretta conseguenza dell’ambiente calcareo della Murgia e vulcanico del Vulture ove la facilità di scavo e lavorazione della roccia, pur nella diversità della formazione geomorfologica, è simile a quella del tufo materano”. Nel territorio della Murgia, caratterizzato da una facilità di scavo del banco roccioso e da un clima siccitoso, si ha una prevalenza di architetture scavate rispetto a quelle costruite per la capacità delle prime di ‘adattamento’ all’ambiente. Pertanto gli insediamenti rupestri non si limitano a soli luoghi di culto, ma anche a strutture abitative, ambienti di servizio e di approvvigionamento idrico. Una situazione differente si riscontra nella Basilicata interna, e in particolare nell’area del Vulture, caratterizzata da un clima più umido, da rocce vulcaniche e dove il territorio presenta un’altimetria più elevata e una copertura arborea molto più ricca. In questo contesto non si riscontra la presenza di residenze in grotta, ad eccezioni di alcuni puntuali episodi, ma ritroviamo l’uso di architetture per sottrazione per la produzione di vino e olio, mentre sono diffusi i luoghi di culto rupestri legati a comunità monastiche benedettine presenti a partire dal IX secolo. “Un aspetto specifico dell’habitat rupestre è la collocazione in grotta di luoghi di culto dedicati in particolare all’Arcangelo ed alla Vergine”. A tal proposito, oltre all’importante santuario di Monticchio, altre testimonianze di grotte consacrate al culto di san Michele, concepite come al voler riproporre il santuario di Monte Sant’Angelo in Puglia dove nasce il culto micaelico, le troviamo ad Acerenza, a Maratea, a Irsina, a Matera e in altri centri lucani. Non mancano poi strutture rupestri dedicate ad altri santi, come a Melfi con le cripte di santa Lucia e santa Margherita, sant’Antonio Abate a Oppido e altre, oltre alle tante testimonianze delle chiese rupestri nel territorio materano dove, come detto in precedenza, non parliamo di singoli episodi rupestri ma di veri e propri complessi. Interessante è lo studio delle testimonianze pittoriche che molte delle architetture per sottrazione ospitano al loro interno. L’attenzione, oltre che alle peculiarità artistiche (pittoriche, iconografiche, etc.), è rivolta allo studio di questi episodi artistici per la comprensione della spazialità all’interno della scena raffigurata. Tra la fine del XII e la prima metà del secolo successivo nuove architetture rupestri sono scavate nel banco di tufo, e le nude pareti sono ricoperte di immagini di santi e madonne. “Si tratta di una produzione pittorica eclettica, ambivalente, che è testimonianza, da un lato della forte influenza esercitata dall’Oriente, in seguito soprattutto alle Crociate, dall’altro lato dei nuovi stimoli di una cultura occidentale intervenuti con la penetrazione benedettina e con l’avvento dei Normanni”. In questi contesti pittura e architettura, spazio e colore, si integrano divenendo un unico ‘oggetto’ dai forti caratteri suggestionali ed emozionali. Il percorso di studio delle espressioni artistiche e architettoniche non può prescindere dalla conoscenza, ovvero da tutto quel processo di analisi iniziale in cui la ‘misurazione’ consente la redazione di una documentazione necessaria alla fase di analisi successiva. Metodi tradizionali e innovativi del rilievo diventano gli strumenti mediante i quali sono restituiti gli ambienti che ospitano le testimonianze artistiche prima dette. In particolare la sperimentazione di nuove metodologie di analisi e restituzione in quest’ambito diventa uno dei capisaldi di articolati percorsi di ricerca finalizzati alla valorizzazione e fruizione dei beni culturali. L’avvento del digitale ha certamente rappresentato negli ultimi anni un’importante svolta per l’acquisizione e gestione dei dati, per la documentazione e per la diagnostica; inoltre oggi l’immagine digitale ha introdotto, anche nell’ambito dei beni culturali, i concetti di virtuale, simulazione e modello. In quest’ambito di studio anche il ‘colore’ ha il suo ruolo centrale, non solo perché le testimonianze parietali lucane sono cromaticamente caratterizzate, ma anche perché queste superfici dipinte ‘contraddistinguono’ l’architettura, definiscono lo spazio architettonico poiché ‘limite’ interno-esterno, e rappresentano lo ‘sfondamento’ del detto limite, ovvero creano una prosecuzione di uno spazio costruito in un’appendice disegnata. L’analisi iconografica parte con l’identificazione degli elementi rappresentati nella scena. “S’inizia pertanto ad esaminare con attenzione le figure umane, gli animali, e gli oggetti inanimati (elementi di arredo, architetture, paesaggi). Delle figure umane o animali ci si sofferma a considerare con cura attributi e segni distintivi emblematici: abbigliamento, tratti fisici, attributi. Per quanto concerne invece gli oggetti inanimati, si verifica attentamente il contesto ambientale, temporale e spaziale nel quale essi sono inseriti”. Modellazione virtuale e rilievo consentono, dunque, di documentare, studiare, e valorizzare queste testimonianze del passato e di cogliere anche il rapporto tra architettura e pittura parietale.
2016
978-88-9377-013-2
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11563/125937
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