Le interferenze tra cultura del cibo e pianificazione definiscono una posizione nuova della città, non più solo consumatrice, ma anche attore e interlocutore politico e culturale sulla triade cibo, società e territorio. A convalida di questa posizione, i temi introdotti dall’Expo 2015, facendo riferimento ai concetti di sviluppo urbano e smart e slow city, delineano nuovi possibili scenari di condivisione tra città, campagna, comunità locali e agricoltura. Da questa prospettiva, per Matera, vergogna nazionale e oggi capitale europea della cultura, ci interessa capire i lasciti di un progetto riformatore e quanto esso sia ancora utile per evitare che il percorso verso il 2019, riferendosi a modelli astratti proposti durante il processo di candidatura, che nulla hanno a che fare con la domanda di nuovi immaginari e di welfare per la città e per i cittadini, riproponga processi esogeni che destabilizzano e, piuttosto, confermano le posizioni di rendita senza costruire vero apprendimento, con il rischio sempre in agguato di produrre altre retoriche. La nozione di “post agricolo” elaborata dagli antropologi, più ancora che “post rurale”, appare, anche dal versante dell’urbanistica, un termine fecondo, più libero da visioni precedenti, capace di inglobare più facilmente un discorso di cittadinanze, di sviluppo a base locale e green economy, white job e volontariato, forme di appartenenza e spazi di condivisione, per chiedersi se è il concetto di città e di cittadinanza che continua a dilatarsi, e se la nozione di periurbano, arricchito dalla visuale del foodscape, può tornare utile per problematizzare.
Matera. Cultura del cibo, green soft power e politiche agrourbane
MININNI, MARIAVALERIA;DICILLO, CRISTINA;FAVIA, Mariafara
2015-01-01
Abstract
Le interferenze tra cultura del cibo e pianificazione definiscono una posizione nuova della città, non più solo consumatrice, ma anche attore e interlocutore politico e culturale sulla triade cibo, società e territorio. A convalida di questa posizione, i temi introdotti dall’Expo 2015, facendo riferimento ai concetti di sviluppo urbano e smart e slow city, delineano nuovi possibili scenari di condivisione tra città, campagna, comunità locali e agricoltura. Da questa prospettiva, per Matera, vergogna nazionale e oggi capitale europea della cultura, ci interessa capire i lasciti di un progetto riformatore e quanto esso sia ancora utile per evitare che il percorso verso il 2019, riferendosi a modelli astratti proposti durante il processo di candidatura, che nulla hanno a che fare con la domanda di nuovi immaginari e di welfare per la città e per i cittadini, riproponga processi esogeni che destabilizzano e, piuttosto, confermano le posizioni di rendita senza costruire vero apprendimento, con il rischio sempre in agguato di produrre altre retoriche. La nozione di “post agricolo” elaborata dagli antropologi, più ancora che “post rurale”, appare, anche dal versante dell’urbanistica, un termine fecondo, più libero da visioni precedenti, capace di inglobare più facilmente un discorso di cittadinanze, di sviluppo a base locale e green economy, white job e volontariato, forme di appartenenza e spazi di condivisione, per chiedersi se è il concetto di città e di cittadinanza che continua a dilatarsi, e se la nozione di periurbano, arricchito dalla visuale del foodscape, può tornare utile per problematizzare.File | Dimensione | Formato | |
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